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Final Time: la memoria sul filo del tempo

28 January 20 di Marina Maffei

Tra le mura della chiesa di Saint-Pierre-de-Chaillot a Parigi, il giorno dei funerali di Marcel Proust nel 1922, risuonò una musica dolcissima. Era la Pavane pour une infante défunte di Maurice Ravel.

Che l'autore della Recherche amasse così tanto Ravel non stupisce. Nel 1916 Proust aveva invitato a casa sua il celebre Quartetto Poulet e chiesto ai musicisti di suonare, per lui solo, le composizioni più amate, tra queste quelle di Ravel.

Marcel nella sua opera tesse il filo del tempo attraverso i ricordi e la riflessione, Maurice lo racconta in musica. Ed anche i momenti dolorosi dell'abbandono e della morte riacquistano il sapore delicato della madeleine che accoglieva Proust, bambino: “All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Léonie mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio…”.

Ravel, scrive il critico Stefano Catucci, “ha avuto un rapporto ambivalente con la sua Pavane pour une infante défunte. Nata come composizione pianistica, pubblicata nel 1899 e poi trascritta da Ravel stesso per orchestra, è stata il suo primo grande successo e contemporaneamente quasi un tormento che l’ha portato, nell’arco di pochi anni, a sentirsene perseguitato, come se fosse l’unico suo pezzo che il pubblico di allora aveva in mente e voleva ascoltare. Solo intorno al 1912 Ravel sentì di poter guardare alla sua Pavane con uno sguardo più distaccato, ma anche allora non mancò di rivelarne difetti trovati proprio in ciò che ne aveva consacrato la popolarità: l’eccesso di seduttività della linea melodica, la regolarità della forma, un ritmo danza che si alterna con due ritornelli, la semplicità persino ingenua degli arpeggi che accompagnano l’ultima parte, l’influenza della scuola francese di fine Ottocento, in particolare di Emmanuel Chabrier. Ravel si era indubbiamente allontanato da quei canoni, ma evitava sia di riconoscere gli aspetti più originali e innovativi della Pavane, nascosti nella concezione delle armonie, sia di arrendersi al fatto che la linearità della sua invenzione melodica lo avrebbe accompagnato anche nelle partiture più ardite, segnando un punto profondo di continuità tra gli esordi «timidi» e «privi di audacia», come li definiva, e gli esiti più maturi della sua arte”.

Noi oggi ne cogliamo tutta la maestria e in Final Time l'Orchestra di Padova e del Veneto diretta dal maestro Luigi Piovano, ospite della nostra stagione, aprirà il racconto in musica sul filo della memoria proprio con questo brano, seguito da Debussy e Mozart.

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